C’è un gesto che per secoli ha avuto un fascino irresistibile: accendere una sigaretta. Un’abitudine radicata, spesso tramandata, che ancora oggi divide opinione pubblica, medicina e cultura.
Ma da dove arriva davvero l’abitudine al fumo? La risposta, sorprendentemente, affonda le radici in tempi e luoghi che non tutti immaginerebbero. Non si tratta solo di marketing moderno o di mode del Novecento.

C’è una storia molto più lunga — e curiosa — dietro quel primo tiro. Nonostante vogliamo sempre ricordare che il fumo nuove gravemente alla salute.
Tutto comincia ben prima delle multinazionali del tabacco. Siamo nelle Americhe, secoli fa, quando il tabacco veniva coltivato e utilizzato dalle popolazioni indigene. Non era un passatempo, ma un vero e proprio rito spirituale. Gli sciamani usavano le foglie di tabacco essiccate in cerimonie religiose, convinti che aiutassero a comunicare con gli spiriti. In molte culture native, fumare significava aprire un varco tra i mondi, non certo rilassarsi dopo cena.
Quando Cristoforo Colombo mise piede nel Nuovo Mondo nel 1492, non portò solo oro e spezie in Europa. Portò anche foglie secche e pipe di terracotta. All’inizio i colonizzatori non capirono subito di cosa si trattasse. Ma fu solo questione di tempo: il tabacco divenne presto una merce preziosa, quasi una moneta. E da lì il passo verso la diffusione fu breve.
Il vizio, però, ci ha messo un po’ ad attecchire. Nei primi decenni dopo la scoperta delle Americhe, fumare tabacco era considerato quasi bizzarro. In alcuni paesi europei, addirittura, chi fumava rischiava punizioni severe. Ma la curiosità era più forte dei divieti. Col tempo, l’abitudine si insinuò nei salotti aristocratici, nei caffè, nei teatri. La sigaretta diventò uno status symbol.
Com’è nato il vizio del fumo?
Quello che oggi chiamiamo fumo di sigaretta come lo conosciamo — cioè industrializzato, confezionato, venduto in pacchetti — è una “invenzione” molto più recente. A cavallo tra Otto e Novecento, con la rivoluzione industriale, tutto cambiò. Le aziende iniziarono a produrre sigarette in serie e a pubblicizzarle come accessori di eleganza, virilità, emancipazione. I messaggi pubblicitari erano martellanti, e non mancavano medici (pagati) che garantivano che “fumare fa bene ai nervi”.

E qui inizia la vera parabola del vizio del fumo. Non più solo rituale o status, ma dipendenza. E per molti, una trappola. Il boom del tabagismo nel Novecento ha lasciato strascichi lunghi e pesanti: milioni di morti, sistemi sanitari sotto pressione, famiglie spezzate. Oggi sappiamo quanto sia dannoso, eppure ancora tantissime persone non riescono a smettere. La nicotina crea dipendenza, sì, ma c’è anche qualcosa di più profondo: un attaccamento culturale, quasi emotivo.
E se ti dicessi che ci sono ancora luoghi dove fumare è parte di un rito sacro? O che alcune tribù continuano ad usare il tabacco come strumento di guarigione spirituale? La storia non è mai lineare. E neppure le abitudini umane.
Vale la pena fermarsi a riflettere su come una pianta usata per comunicare con gli dei sia finita per legare milioni di persone a un gesto automatico, quotidiano, spesso autodistruttivo. Ma, alla fine, siamo davvero così diversi dagli uomini di cinquecento anni fa? Anche oggi, in fondo, cerchiamo qualcosa quando fumiamo. Solo che forse non è più lo spirito del bosco.