Se ti piace fumare un sigaro, o anche solo osservare qualcuno che lo fa con eleganza e lentezza, magari ti sei chiesto almeno una volta: “Ma com’è fatto davvero un sigaro?” Non parlo solo della marca o della provenienza.
Parlo proprio della struttura fisica del sigaro, della sua composizione interna, di quel lavoro meticoloso che spesso diamo per scontato, concentrandoci solo sull’aroma e sul gusto.

Dietro ogni sigaro artigianale, c’è un’architettura semplice ma precisa, fatta di tre elementi principali: ripieno, sottofascia e fascia. Tre parole che, se non le conosci, potrebbero sembrare un gergo tecnico da addetti ai lavori. In realtà, sono il cuore stesso di quello che accendi, tieni in mano, assapori con calma.
Alla fine, ogni sigaro di qualità è un piccolo esercizio di equilibrio. Foglie diverse, ruoli distinti, un lavoro artigianale dove nulla è lasciato al caso. Il bello è che, anche senza essere esperti, si può imparare a riconoscere queste differenze. Basta osservare, toccare, fumare con un po’ più di attenzione.
Quindi, la prossima volta che accendete un sigaro, fermatevi un secondo. Non è solo tabacco arrotolato. È una composizione a strati, un’esperienza fatta anche di forma, struttura e precisione. Vi siete mai chiesti quale storia nasconda ogni foglia?
Il ripieno (detto anche “tripa”)
È la parte più nascosta, ma non per questo meno importante. Il ripieno del sigaro è composto da foglie di tabacco accuratamente selezionate e tagliate, che possono variare per tipologia, provenienza e grado di fermentazione. In un sigaro premium, il ripieno è interamente fatto di foglie intere, chiamate “long filler”. Se invece parliamo di sigari più commerciali, spesso si usa un “short filler”, cioè un trinciato o spezzoni di foglie.

Qui dentro avviene gran parte della magia: è il ripieno che definisce il corpo del fumo, la sua forza, la complessità degli aromi. Non a caso, i torcedores (gli artigiani che arrotolano i sigari) sanno bilanciare con precisione varietà di foglie più leggere e altre più robuste, per ottenere un mix coerente.
La sottofascia (detta anche “capote”)
È la parte che tiene insieme tutto. La sottofascia avvolge il ripieno e gli dà forma. Serve sia come legante fisico che come contributo al gusto. Spesso viene realizzata con foglie di seconda scelta rispetto alla fascia esterna, ma deve comunque avere elasticità, resistenza e una combustione omogenea. Senza di lei, il sigaro non terrebbe la forma e si sfalderebbe facilmente.
La fascia (o “capa”)
E qui arriviamo alla vera protagonista estetica del sigaro. La fascia esterna è la foglia che si vede a occhio nudo, quella che si tocca, che si osserva mentre il fumo si disperde lento. Deve essere perfetta: liscia, elastica, priva di venature troppo evidenti. Oltre all’aspetto visivo, la fascia ha anche un ruolo nel sapore, regalando spesso le prime note percepibili al palato.
Molti la sottovalutano, ma la fascia è scelta con attenzione estrema, spesso tra le foglie più pregiate della pianta, coltivate in condizioni ideali per ottenere colore, consistenza e aroma. Pensate a un vestito su misura: il sigaro è già pronto, ma la fascia lo rende elegante.